2006
Duration: 1 mounth
Project realized for DIE SCHACHTEL, Milan
Care of: E. Grazioli
Documentation: photographies+video
Multiple: Dvd Box, photo cm 150x100


Listen to a sound so intensively until your memory instill in you a doubt: either to have listened to something else or to have listened to nothing at all.

Ascolta intensamente un suono, al punto tale da lasciare nella memoria il dubbio di aver ascoltato altro o di non aver ascoltato affatto.

Una grande installazione riempie la stanza della galleria di congegni, cavi, amplificatori e quant'altro. E' evidente che si tratta di strumentazione sonora, ma la stanza è chiusa, si può solo - si deve - guardare da fuori, dalla finestra sulla strada o dal vetro della porta, e tendere l'orecchio. Il vetro - certo, un altro Grande Vetro, e un'altra vetrina (vedere e non toccare!) - il vetro cambia tutto, è trasparente ma mostra e cambia tutto. Prima di tutto, quello che vedo si trasforma da installazione in set, scena per qualcosa che accade, o è già accaduto, o anche deve ancora accadere. Infatti la scena diventerà un'immagine fotografica: sarà quella allora l'«opera», ciò che resta nel tempo, fissa-fissata, quel che resta, ogni volta, di ciò che scompare di continuo.
Quello che vedo, sul posto, è dunque una scena, non un'installazione, è il luogo esposto della produzione, è la produzione rappresentata, la «scena primaria». Poi diventerà fotografia e verrà smantellata. La fotografia, è chiaro, sarà scattata dalla finestra, dall'altra parte del vetro, vetro compreso quindi. Lo si vedrà bene, perché sull'immagine si leggerà una scritta, la stessa che effettivamente ora leggo sul vetro della finestra e della porta: «...ascolta intensamente un suono, al punto tale da lasciare nella memoria ii dubbio di aver ascoltato altro o di non aver ascoltato affatto». Un suono dunque, eccolo, ma così basso, flebile, chiuso, al di là dei vetri, che non so se lo sento davvero o se è quello che sento, che è sempre altro o dubbio. Tanto più che questo suono sembra effettivamente perso nell'«opera» finale, nella fotografia.
A meno che... il suono sia quello silenzioso della parola scritta, della voce dentro di noi che legge. Questo pensiero me lo fa venire il titolo di quest' opera di Codeghini: Intervallo didattico. Sospetto cioè che la parola «intervallo» in questo titolo alluda anche al suo senso musicale, il silenzio (o eco, risonanza o altro) tra due suoni. E se allora l'altra parola del titolo, «didattico», giocasse volutamente sul «dida», cioè didascalia, che effettivamente contiene? Il testo qui - su quell'intervallo che è il vetro - non è una sorta di didascalia dell'immagine –e già della scena? Il vetro, l'avevo detto, cambia tutto: ci chiude fuori e anche questo è un «intervallo», intervallo scolastico - «didattico» in quest'altro senso -, come quando a scuola si sta «fuori» e non in classe, tra due lezioni. Quella che si chiama anche «ricreazione». Ri-creazione, nientemeno. L'arte è questo, tra la scena e la realtà, non riducibile a nessuna delle due, magari il riverbero della luce viola che dalla stanza si irradia nella via e nell'entrata.
A Codeghini piace giocare coni titoli, e a noi andargli dietro, perché, infine, proprio di un gioco in effetti qui si tratta, un «gioco da stanza». Si', in realtà quella che vediamo è una stanza da gioco e il nome del gioco è : // gioco del suonato. Più esplicito, anzi letterale, di così non si può: come ogni gioco di Codeghini, più che una struttura che porta a un fine, la vittoria di uno dei partecipanti, il gioco è una sorta di struttura decostruttiva, quando non dissipativa, che si gioca, si svolge cioè per mostrare-esporre le proprie regole che, grazie alla loro sospensione, giocano i giocatori mentre sono giocate. Qui il giocatore è «suonato» grazie al dubbio sull'ascolto (sul suono), oltre che il gioco stesso, grazie alla sospensione della scena (al vetro). Nel caso, nel frattempo, ve ne foste dimenticati, tutto questo è ben in gioco nell'«opera» finale, nella fotografia con testo, sospesi tra loro: l'immagine è fissata, il testo svela la regola.
Resta che «suonato» allude anche a un poco di follia... Ma c'è forse di che sorprendersi?

Elio Grazioli